A Lisbona, nella piazza che tutti conoscono come Rossio, nel cuore della città, esiste una taverna, che conserva la memoria del tempo che fu, quando questa piazza pullulava di caffè e taverne, luogo di incontro prediletto dei portoghesi.
Si tratta della Tendinha, che dal 1840 continua a rappresentare uno dei punti di riferimento di lisboeti e non, che desiderano fare una pausa e mangiare qualcosa bevendo una birra fredda o un bicchiere di vino.
E quando si dice Tendinha, si dice Alfredo.
La sua immagine e quella della Tendinha sono ormai unite a doppio filo.
Alfredo, alfacinha doc (modo simpatico per dire Lisboeta autentico), lavora in questo posto da più di vent’anni. Ha visto il tempo passare, luoghi e gusti cambiare, tanti clienti, ognuno con la sua storia, ed é presente in questo posto, che conosce come le sue tasche, dal 1998.
Sono sicura che chiunque sia stato a Lisbona, sia passato per la Tendinha almeno una volta. E sicuramente si ricorderà di Alfredo.
Molte ore della sua giornata sono dedicate al lavoro e senza dubbio questo può essere stancante, anche se Alfredo trova sempre il modo di dare spazio ai suoi interessi, come visitare luoghi nuovi, oltre alla fotografia e al ballo, passione scoperta 20 anni fa. Una personalità sicuramente versatile la sua, ed una simpatia che lo rendono un vero punto di riferimento in questo luogo. Alfredo ci racconta che uno scrittore ha citato anche la Tendinha in un suo libro e, ovviamente, non ha dimenticato di parlare anche di lui.
E se si vuole conoscere la storia della Tendinha, non c’é persona più indicata.
Alfredo ci racconta che la Tendinha ha avuto solo tre proprietari nella sua lunga storia: la prima famiglia era di Viseu ed é rimasta proprietaria del posto fino al 1974, tramandando questo luogo di padre in figlio, poi l’ultimo erede, dedicatosi ad altri campi, decise di vendere la taverna. E 12 anni fa l’attuale proprietario l’ha acquistata diventando il terzo proprietario officiale.
Ma la Tendinha, a dispetto degli anni che passano, non é cambiata molto. L’unica grande modifica aveva avuto luogo nel 1974 e poi é rimasta quasi completamente uguale.
Nel suo aspetto originario aveva un piano superiore dove si produceva la ginjinha (tradizionale liquore di visciole) che poi era venduta nel piano inferiore dove esisteva, e ancora esiste, la taverna.
La Tendinha non é mai stata una taverna dove si veniva solo per bere, ma ha sempre venduto anche panini e “salgados” (tradizionali crocchette a base di baccalà o carne o gamberi, ecc).
Quando la Tendinha é stata fondata era il 1840, anche se recentemente un articolo di giornale riporta la sua apertura addirittura al 1818. Lisbona era molto diversa da come appare oggi, le frontiere della città erano poco lontane da Rossio e, dove oggi sorge l’elegante Avenida da Liberdade, erano orti.
La gente non mangiava in casa, tra l’altro in molte case la cucina non c’era neppure visto che il carbone in case di legno sarebbe stato causa immediata di incendio. Per molto tempo il mangiare in taverne o le cosiddette “case da pasto” era abitudine comune e questo spiega anche il basso costo, nelle antiche taverne, ancora oggi. Mangiare fuori non era un lusso, era un’esigenza. E nel passato, ci racconta Alfredo, si veniva anche qui a riscaldare o far cucinare il proprio cibo e in cambio si comprava qui il vino.
Col tempo anche i gusti delle persone sono cambiati e certe “ricette” già non esistono più. Alfredo ci racconta per esempio, che fino a qualche anno fa, si comprava nella Tendinha il panino con crocchetta di baccalà e marmelada (gelatina di mela cotogna), o si univano nello stesso panino prosciutto crudo e crocchette di carne o di baccalà. Oggi l’offerta é più moderna e più adatta al gusto attuale.
Ma il menu non é stato l’unico cambiamento importante della Tendinha. Dieci anni fa, in una taverna gestita da un uomo e frequentata da uomini, é arrivata lei: Margarida.
Ci sembra strano pensare che solo dieci anni fa una donna potesse avere difficoltà ad essere accolta, ma la Tendinha é sempre stata un luogo fuori dal tempo ed era sempre rimasto un luogo molto conservatore, dove clienti fissi venivano a bere qualcosa e, sorseggiando un bicchiere di vino, conversavano con Alfredo, da uomo a uomo.
Quando Margarida ha cominciato a lavorare nella taverna, ci racconta, a volte le dicevano che aspettavano che Alfredo si liberasse per chiedere a lui direttamente.
Margarida ha dovuto far fronte a non poche difficoltà per integrarsi in questo ambiente, ma il carattere non le manca e cosi oggi non c’é Tendinha senza Alfredo, ma neppure senza Margarida.
Ci mette un pò a lasciarsi andare al racconto ma quando lo fa, apre una scatola di ricordi davvero irresistibile. Ed ecco che scopriamo che molti clienti, assistendo ai battibecchi irresistibili tra i due, pensano spesso che siano sposati e Margarida ci confessa, che quando aveva iniziato a lavorare li, per difendersi da corteggiatori non graditi o per affermare la sua presenza nella taverna, lei e Alfredo si fingevano sposati.
Oggi una vecchia coppia lo sembrano davvero: si prendono in giro, si provocano, si punzecchiano a vicenda. E creano cosi facendo un ambiente di lavoro davvero unico, fatto di enorme lavoro, ma anche di tante risate.
Tra gli episodi che ci racconta, ci dice anche che all’inizio della sua presenza li nella taverna, molti clienti, abituati a fare qualche chiacchiera “da bar” e commenti poco adatti alla presenza di una signora, per esempio sull’antico cinematografo di Rossio li al lato, oggi dedicato a peepshows, iniziarono a inventare un codice parlando di aerei e boing per non essere capiti da Margarida, almeno cosi credevano loro. A volte lei andava in cucina per far si che si sentissero più a loro agio.
Ma ci sono anche ricordi poetici, come il signor Cesar che scriveva poesie sui tovaglioli che Margarida conserva ancora in una scatola. Una volta, si era riunito un gruppo di poeti angolani all’interno della taverna e avevano passato la serata senza consumare nulla, ma recitando poesie per ore e ore, e creando un momento che Margarida ricorda come davvero magico.
Ovviamente c’é anche qualcuno che alza il gomito o che arriva li per bere dopo aver visitato un bar di troppo e allora Alfredo ha il suo modo per evitare di servirgli ancora da bere: “Ha la tessera socio? No? E allora non posso servirla”
La Tendinha é un posto unico nel suo genere e tutto fa si che l’antica atmosfera sia conservata: il luogo, il menu, e addirittura i bicchieri che il nuovo proprietario custodisce gelosamente perché fanno parte della storia di questo luogo.
É ovvio che col tempo la clientela della Tendinha é cambiata. Prima entrava un turista alla settimana e adesso sono più turisti che locali. Prima si andava alla Tendinha perché era un punto di riferimento, oggi ci si ferma perché nel cuore di Lisbona é ancora un ristorante economico.
Ma indipendentemente dalla ragione per cui ci si ferma, si resta sicuramente affascinati dal posto e soprattutto dall’atmosfera che si respira.
La Tendinha é un luogo pieno di storia.
Uno dei pochi luoghi che può vantarsi di avere un fado che gli é stato dedicato (Velha Tendinha).
Ed é proprio il verso di questo celebre fado che oggi é in bella mostra sull’ingresso della taverna e sui grembiuli di chi ci lavora: “Velha Taberna nesta Lisboa moderna” (antica taverna in questa Lisbona moderna).
Alfredo e Margarida continuano a rendere questo posto unico, allegro, affrontando il duro lavoro con un sorriso e una battuta, che non può evitare di travolgere anche chi si trova presente.
Ed entrambi amano il contatto con la gente e il fatto che lavorare in questo posto gli permette di entrare in contatto con persone diverse e culture diverse ogni giorno.
Chi passa dalla Tendinha lascia una dedica, un pensiero nel quaderno di Alfredo che ormai di quaderni ne ha più di uno, testimonianza del passaggio di chi, anche se solo per qualche ora, ha fatto parte della storia di questo luogo.
In fondo, dice Margarida, il fascino di questo posto é proprio entrarci da soli ed uscirci conversando con qualcuno, perché come accadeva nelle vecchie taverne di una volta, tra un panino e un bicchiere di vino, ci si ritrova a chiacchierare con perfetti sconosciuti che, alla fine del bicchiere, sconosciuti non lo sono più.
E quando qualcuno prova a interferire con questa tradizione domandando “Tem net?” (Avete internet?), gli viene risposto “Não, hà conversa” (No, abbiamo conversazione).
Perché la Tendinha non é solo una taverna, ma un luogo di incontri, di storie e di molte risate.
Nell’antico quartiere di Alfama, nella rua do Salvador 83, ci si imbatte in un piccolo negozio/atelier di un artista davvero unico nel suo genere: Alberto. E a fare la guardia al suo negozio, sdraiato proprio sotto la porta, c’é il suo gatto Gordon.
Nato in Angola, nel ’69, Alberto vive a Lisbona da più di trent’anni. Ha vissuto in quartieri diversi, ma da circa 15 anni é Alfama che é diventata la sua casa.
Quando é arrivato in questo quartiere e in questa strada quasi nessuno voleva abitarci, faceva parte della Lisbona meno curata, più abbandonata. Ma Alberto ha mostrato da subito il suo spirito combattivo, coinvolgendo anche gli altri abitanti della zona a partecipare, occupandosi essi stessi della pulizia e della cura di questa strada. Pochi anni dopo, la zona veniva rivalutata. Ma Alberto avrebbe fatto ancora un’altra piccola grande scoperta: un’antica placca, nascosta da cavi elettrici, che si sarebbe poi scoperto essere un cartello stradale dell’antichità, il più antico della città.
Ed é proprio qui che Alberto ci accoglie nel suo mondo, nel suo atelier dove realizza e vende le sue opere. Quando entriamo, restiamo subito colpiti dall’atmosfera vintage che regna nel negozio. Dappertutto, oggetti decorati con antiche riviste ci riportano al passato: paravento, quadri, specchi, oggetti di ogni tipo. Ma soprattutto valigie: valigie antiche di ogni forma e misura, cui Alberto ha donato nuova vita.
E allora mi accomodo e lo ascolto mentre mi racconta come é cominciata.
Era molto giovane quando la sua famiglia lo manda in Portogallo, e il Carmo e lo Chiado saranno la sua prima casa. Alberto inizia a lavorare in campi diversi, ma il suo desiderio era poter usare la manualità. Lo spirito artistico ha sempre fatto parte di lui, in fondo nella sua famiglia dal lato paterno erano artisti, musicisti, poeti. L’arte Alberto l’ha sempre avuta nei suoi geni.
Il suo grande sogno era stato sempre un giorno fare di questa passione per l’arte manuale il suo lavoro. E riuscire a vivere della sua arte.
16/17 anni fa un incidente grave cambia le cose, ferendogli gravemente le dita di una mano. Ma Alberto non si arrende e comincia a lavorare alla Feira da Ladra, il celebre mercato delle pulci di Lisbona. Ed é li che si ritrova proiettato in un mondo di oggetti antichi, e due cose colpiscono la sua attenzione: le riviste d’epoca e le antiche valigie.
La valigia: un oggetto che oggi leghiamo al viaggio, alle vacanze, ma che per Alberto é una memoria importante della sua vita. Quando era ancora bambino, nel mezzo della guerra civile nel suo paese, bisognava spostarsi spesso, scappare. E allora la valigia era custode delle cose importanti, era la casa che ci si portava dietro.
Da un posto ad un altro, con la vita racchiusa in una valigia.
E allora la valigia per Alberto é la memoria di questo passato, un passato che non vuole necessariamente raccontare, non perché lo voglia dimenticare, ma perché dice che lui non rientra tra quegli artisti che sentono il bisogno di rendere pubblico il proprio inferno personale per essere capiti ed apprezzati.
Quello che Alberto ha vissuto negli anni della sua infanzia non é sicuramente stato semplice, ma non é quello che vuole ricordare. Alberto si reputa una persona fortunata ed é sempre col sorriso che vuole guardare alla vita, cercando le cose belle che ha da offrirci.
E allora questo oggetto legato ad una memoria del passato, la valigia, si trasforma e ritrova nuova vita attraverso riviste d’epoca.
Alberto comincia cosi a realizzare dei collage di immagini vintage e con queste inizia a decorare antiche valigie e, proprio nel luogo che lo aveva inspirato, la fiera da Ladra, comincia a venderle.
Erano tempi diversi, all’epoca non c’era troppo spazio per gli autori, gli artisti. Un’idea originale la sua, ma che inizialmente si scontra con molti pregiudizi, sull’idea in sé e su chi quest’idea l’aveva avuta.
Ma come abbiamo già capito, Alberto non si dà facilmente per vinto e quindi continua sulla sua strada e comincia a riscuotere un certo successo, all’inizio più tra gli stranieri che tra i portoghesi.
Un episodio gli farà capire di essere sulla strada giusta: un giorno, una bambina di 8/9 anni resta completamente affascinata da una delle valigie di Alberto e comincia a chiedere ai genitori di poterla avere. Se la madre risponde con indecisione, il padre decide di accontentare la figlia che reagisce con una gioia ed un’allegria che Alberto quasi non riesce a descrivere. Ricorda perfettamente quel momento, la felicità di quella bambina, come aveva abbracciato la sua valigetta, come era stata grata ai suoi genitori. Alberto aveva capito che se una sua opera aveva potuto rendere quella bambina cosi felice, allora era proprio quella la sua strada.
E ricordandolo si commuove ancora. E ci confessa, che quando ha qualche momento di sconforto, ancora oggi, é proprio a quella bambina che pensa.
La svolta arriva quando l’allora proprietaria del famoso negozio A vida Portuguesa, che Alberto già conosceva, apre il suo primo negozio di questa famosa marca e chiede ad Alberto di poter vendere le sue valigie. Alberto accetta anche perché Catarina mostra da subito grande fiducia nel suo lavoro, offrendosi di comprare le sue opere per poi venderle nel suo negozio. E li, la grande svolta. Le valigie di Alberto cominciano ad avere un enorme successo e la sua opera diventa sempre più conosciuta. E Alberto capisce che é proprio questo, essere artista, il suo destino.
La vita di Alberto non é sempre stata semplice, vari problemi di salute negli ultimi anni lo hanno messo a dura prova, ma lui é un vero guerriero e ne é sempre uscito. Ed é anche per questo che lo scopo principale della sua arte é donare un sorriso.
Alberto lascia ben chiaro il fatto che utilizzare episodi tristi della sua storia nella sua arte non gli interessa. Questo non significa che non voglia lanciare un messaggio. Le immagini che sceglie per la realizzazione dei suoi collages non sono mai casuali, ma volte a lanciare un messaggio legato alla società di oggi, o a rappresentare aspetti della vita attuale e della gente che ci circonda. Ma il messaggio é per pochi. Molti si fermano alla bellezza della decorazione. E ad Alberto va bene cosi. Che ci si interroghi più a lungo o che si apprezzi solo la bellezza dell’opera, l’importante é per Alberto riceverne il messaggio positivo, osservala e sorridere, sentirsi allegri con la sua opera tra le mani.
É questo che Alberto vuole. Si definisce un esteta, apprezza il bello e cerca la bellezza, sotto ogni sua forma, in ogni cosa e ogni situazione della sua vita. Per lui é la cosa più importante. Dice che la vita é una scatola piena di sorprese. Mi fa pensare a Tom Hanks nel celebre ruolo di Forrest Gump quando dice che la vita é una scatola di cioccolatini e non sai mai cosa ti capita.
In fondo la filosofia di vita di Alberto é proprio questa: aprire la scatola e lasciarsi sorprendere.
A volte ci sono momenti di difficoltà, anche perché per guadagnare il proprio posto nella società finiamo per appartenere a un gruppo, una categoria, e questo qualche volta significa imparare anche a scendere a compromessi. Ma Alberto mostra pazienza per le situazioni più complicate e continua a sottolineare quanto si senta fortunato per riuscire a vivere con il lavoro che ama e perché alla fine ha ottenuto il suo posto.
Alberto adora il contatto con la gente e lo si vede anche dal via vai delle persone che passano, anche solo per un saluto, dal suo atelier.
Oggi la sua casa é in Alfama, ma lui Lisboa l’ha girata quasi tutta e la conosce bene. Come ci dice é passato da una collina all’altra, dallo Chiado, quando é arrivato, nella Lisbona più raffinata e meno popolare, all’Alfama, il quartiere più popolare di tutta Lisbona. Un quartiere che Alberto ricorda come molto vivo, con tanta gente per la strada. E anche adesso che Lisbona sta cambiando, si sta modernizzando, sta diventando sempre più cosmopolita, con molta gente di passaggio, Alberto vede l’aspetto positivo di questo cambiamento che, secondo lui, sta dando nuova vita alla città.
Ma in questa Lisbona moderna e cosmopolita, il suo atelier resta un luogo quasi fuori dal tempo. Alberto oggi si dedica per lo più a pannelli, piccoli quadri. E quando non riesce a concentrarsi, esce, fa una passeggiata, resta in silenzio a contemplare e poi torna e comincia a creare.
Le sue opere oggi le possiamo acquistare solo nel suo atelier ma molti, soprattutto portoghesi, chiedono ad Alberto la realizzazione di opere su misura.
Prima di lasciarci ho per Alberto un’ultima domanda: perché la rosa al petto?
Alberto mi racconta che circa 15 anni fa stava combattendo contro una malattia di cui non parlava con nessuno. I suoi colleghi nella Feira da Ladra si erano ovviamente accorti del cambiamento fisico, ma nessuno osava domandare. Un giorno, un uomo che non andava per nulla d’accordo con Alberto, quello che meno bene lo aveva accolto, gli si era avvicinato e aveva chiesto ad Alberto come stava. E gli aveva donato un fiore da mettere al petto, come simbolo di speranza, di vita, di fiducia. E da allora Alberto porta sempre un fiore in petto, perché anche oggi che la malattia é lontana, quel gesto non va dimenticato.
Un gesto inatteso, una mano tesa da chi non si aspettava, un messaggio di speranza che Alberto vuole continuare a ricordare. Perché, come dice lui, la vita ti sorprende quando meno te lo aspetti.
La storia che vi raccontiamo oggi é quella di Will, un grande musicista, una persona straordinaria, che da anni, “um dia de cada vez” é entrato nella vita mia e di Alex.
Alex tornando dal lavoro ed io passeggiando per le strade di Lisbona con i miei turisti, siamo stati sorpresi ed incantati tante volte dalla musica unica di Will.
Willfredo, per essere precisi. “Ma per tutti sono Will”, mi dice appena iniziamo a parlare.
Will é svizzero, ma conosce Lisbona da circa 40 anni. Due matrimoni alle spalle, con due donne portoghesi, due figli, una ragazza di 26 anni e un ragazzo di 28, entrambi all’estero, e una compagna di Dakar che da qualche tempo é stata rimpatriata lasciandolo qui “sospeso” come lui stesso dice.
La vita di Will é una vita straordinaria, difficile ma coraggiosa. Ed oggi sta a noi cercare di raccontarvela.
Will é laureato in antropologia, é stato un accademico, traduttore, ha insegnato tedesco, francese e inglese a futuri interpreti all’ISLA (Istituto di Lingue e Amministrazione di Lisbona, n.d.r.) per più di 10 anni, ma Will é soprattutto un musicista, un concertista di chitarra classica.
Will, é Willfredo Mergner, o Fredo Mergner come meglio é conosciuto. Chitarrista della celebre banda “Resistência” degli anni ’90.
Per chi non avesse avuto la possibilità di ascoltarlo, vi invito a farlo, per esempio in “A sombra da figueira”
Un chitarrista di successo, un artista sensibile, un musicista di grande valore, capace di spaziare dal Fado, al Jazz, alla musica classica.
Ma oggi é Will, che mi accoglie dicendomi “Non parlo italiano, ma posso parlare con questa” e inizia a suonarmi “O sole mio” lasciandomi senza parole. “É il sole di Lisbona. É un fado” dice.
Intorno a lui c’é confusione, la gente chiacchiera, ride, beve. E ascolta distratta, senza capire la fortuna che ha in quel momento.
Siamo nel Largo do Carmo, a Lisbona. Si sta facendo sera. Al chiosco in piazza ci sono tante persone sedute a bere qualcosa.
E in mezzo a loro, seduto su uno sgabello improvvisato, abbracciato alla sua chitarra, c’é lui: Will.
Da qualche anno Will suona per strada. Prima lo si trovava spesso nel suo palco preferito, il belvedere del Largo Das Portas do Sol, poi sulle scale della Calçada do Duque e adesso nel Largo do Carmo.
Will ha sempre avuto il suo pubblico, ci dice. Le piazze erano diventate le sue sale da concerto. E c’erano sempre quelli che si fermavano ad ascoltarlo.
E nel frattempo ha continuato a comporre musica: fado, jazz, sonate.
Non interessa sapere perché Will abbia iniziato a suonare per strada, non é questa la parte di storia che vogliamo raccontare.
Ma il suo amore, quello per la sua chitarra.
Gli chiedo quando abbia iniziato a suonare e mi spiega che per suonare la chitarra bisogna essere più adulti, per l’evoluzione delle mani, intorno ai 14 anni. Ma che lui ha praticamente sempre suonato. La musica lo accompagna da tutta la vita.
E quando gli chiedo se suoni altri strumenti, mi dice “No! Nessuno che ami uno strumento con tutto il cuore può suonarne un altro con la stessa intensità”.
Perché per Will é cosi. La chitarra é la sua donna, il suo amore, la sua compagna di vita.
É solo su di lei che le sue mani possono scivolare, é solo dalla sua cassa che può uscire l’armonia giusta per raccontare la sua anima.
Suonare un altro strumento sarebbe come tradirla. E Will non può, perché la ama troppo.
E questo amore lo vediamo, lo sentiamo. Will la sua chitarra non la lascia mai, la tiene tra le braccia, come un amante la donna amata.
E mentre la abbraccia il suo sguardo si perde.
La chitarra che oggi Will suona non é quella che usava nei suoi concerti anni fa, quella gli é stata rubata. Questa gli é stata donata qualche tempo fa. Ma Will la ama allo stesso modo.
Non può farne a meno, perché suonare é la sua vita, il suo modo di esprimersi. É attraverso la musica che Will si racconta.
Meglio di come non riesca a fare con le parole. Perché nella musica c’é la sua anima.
La pandemia ha sicuramente reso la sua vita più complicata, aggiunto altre privazioni. Ed oggi più di ieri suonare lo aiuta a sopravvivere.
Ma Will é costretto a farlo in un luogo più affollato, perché la pandemia ha sicuramente limitato il pubblico usuale che da sempre lo seguiva.
E questo proprio non gli va.
Dice che si sente stanco, perché suonare cosi non gli permette di abbandonarsi alla musica. Potrebbe strimpellare qualcosa di moderno e rumoroso e guadagnare qualcosa di più e con meno fatica, mi dice. Ma non vuole.
La musica di qualità prima di tutto. La buona musica va rispettata. Ed é la musica di qualità quella che Will vuole suonare.
Will vuole abbandonarsi alla musica, lasciare la sua anima esprimersi tra le note che vibrando escono dalla sua chitarra. “E questo stanca, sfinisce”, dice. Perché cosi ti doni senza filtri, senza limiti, senza sconti. Ti doni, e lo fai completamente. E suonare cosi é da pochi. E da pochi é anche ascoltare nel rispettoso silenzio.
Ed é questo silenzio che manca tra i rumori dei bicchieri e delle risate di persone distratte. E questo per Will é il dolore più grande. Più di tutte le difficoltà che la vita gli ha messo e ancora gli mette davanti, lui soffre del rumore, del fatto di non poter suonare in silenzio, di non potersi donare completamente come vorrebbe.
Ma Will non si arrende, già pensa a nuovi progetti. Ha già un’opera pronta, un concerto per chitarra cui lavora da un po’ e che spera di veder pubblicato.
Will ci lavora con un collega chitarrista e la pandemia ha sospeso i loro incontri. Ma é già pronto a ricominciare, perché ha ancora molto da raccontarci.
E le difficoltà non hanno spento per nulla la fiamma della sua creatività.
Ci allontaniamo un po’ dalla confusione. Andiamo a sederci sulle scale della chiesa del Carmo. E allora Will suona per noi, solo per noi, in silenzio come piace a lui.
In un attimo gli occhi si chiudono, le mani cominciano a scivolare sulla sua chitarra, e la musica di “Canção do mar” comincia a diffondersi in questa calda sera d’estate.
Will suona abbracciato alla sua chitarra, la stringe forte mentre gli accordi si succedono veloci. Gli occhi sono chiusi, la sua mente é altrove, é con la sua musica, tra quelle note che hanno tutta una vita da raccontare.