Nel quartiere della Mouraria, uno dei quartieri più autentici ma anche multiculturali di Lisbona, proprio ai piedi della chiesa di São Cristovão, antica Santa Maria di Alcami mozarabica, troviamo un negozio che fa del Vintage un modo di vivere. Si tratta del Tropical Bairro di Paolo.
Italiano, di Monza, classe ’79, a Lisbona dal 2016. La storia di Paolo con Lisbona é quella di molti stranieri che hanno finito per farsi adottare dalla città lusitana. Arrivato qui in vacanza, Paolo resta colpito dalla città, la sua luce straordinaria, e comincia a pensare che forse proprio Lisbona potrebbe essere l’inizio di un nuovo progetto.
Il mondo vintage fa parte della vita di Paolo da molti anni. E, ad essere sincera, col suo racconto mi apre un mondo. Mi spiega che in realtà esiste quella che si definisce una sottocultura che é legata al mondo vintage, con ritrovi, feste a tema, con tanto di dress code, e tutto un mondo legato al collezionismo, alla musica, agli oggetti. Un mondo davvero da scoprire. E Paolo é li per proiettarci in questo universo.
Prima di arrivare a Lisbona, viveva a Milano e si dedicava per lo più alla vendita online e in qualche fiera. Ma la sua idea era da un po’ quella di creare un posto, in cui unire vari aspetti di questa cultura. Poi la vacanza a Lisbona e tante valutazioni: il luogo, il costo della vita, la burocrazia da seguire per aprire un posto li e cosi comincia a pensarci seriamente. E alla fine, il grande passo. Arriva qui e apre un primo negozio, in società, e nel frattempo comincia ad inserirsi nella comunità italiana.
Tra le prime persone che conosce c’é lo scrittore Daniele Coltrinari (autore di Lisbona é un’assurda speranza, n.d.r) e poi la comunità di Italiani a Lisbona. E cosi giorno per giorno Paolo si ambienta nella sua nuova città. E viene ad abitare nella Mouraria.
E la Mouraria sarà la seconda grande svolta. Un giorno, la signora proprietaria di questo negozio, che vendeva gioielli, ceramiche e oggetti di artigianato locale, avvicina Paolo e gli dice che aveva saputo della sua ricerca di un posto tutto suo e gli propone di affittargli questo negozio. E Paolo accetta. E nasce cosi Tropical Bairro.
Ma la vita di Paolo é molto più piena e complessa di cosi. E allora io e Alex lo seguiamo, per cercare di capire tutte le varie sfaccettature della sua giornata “tipo”.
11:00: la saracinesca del negozio si alza ed é ora di cominciare.
Paolo sistema il negozio e mette su della buona musica. Eh si, la musica, che proprio non può mancare. Perché Tropical Bairro non é un negozio normale, ma più un’espressione dell’amore di Paolo per la cultura vintage.
Nel negozio troviamo abbigliamento, vintage ovviamente, e dischi da collezione. Due prodotti diversi ma complementari, due espressioni della stessa cultura.
Paolo sistema con cura, e grande precisione, gli abiti sugli stand, e poi, dietro al suo bancone si dedica alla musica.
La sua é una passione che si porta dietro da ragazzino. E Paolo é anche un DJ.
Ma non corriamo troppo, andiamo con ordine. Eravamo arrivati al negozio.
Ci sono giornate più caotiche, altre più calme, alcuni clienti entrano a dare un’occhiata, qualcuno compra. Altri si fermano per una chiacchierata. E Paolo continua a raccontarsi, mentre lucida i suoi amati vinili e mette su un po’ di musica.
L’ambiente che si respira qui é ovviamente differente da quella di un classico negozio. La musica di sottofondo, l’atmosfera rilassata, lo rendono un ambiente estremamente piacevole, dove le persone entrano e si sentono a proprio agio.
E continuo a chiacchierare con Paolo, che mi racconta del suo passato di costruttore scenografico e delle sue collaborazioni anche con la TV italiana, lavoro che lo ha accompagnato dai suoi 19 ai 27 anni più o meno.
E poi la passione della musica che non é mai mancata.
Quello che più colpisce nello stare con Paolo al suo negozio é il via vai non solo dei clienti ma anche della gente del quartiere.
Allora ne approfitto per chiedergli come é stato ritrovarsi, da straniero, in un quartiere cosi popolare. Ma Paolo mi dice subito che lui straniero nella Mouraria non si é mai sentito. L’importante, mi spiega, è stato mantenere un profilo discreto, non imporsi, ma rispettare il posto in cui é. Sapersi integrare tra la gente che già era li. Ed oggi Paolo si é integrato benissimo in quello spirito, tipico della Mouraria, che ti accoglie nella sua “famiglia” creando un legame tra “vicini di casa” più che tra negozi concorrenti.
“E come fai a gestire il negozio, gli acquisti, in particolare di dischi?” Gli chiedo. E Paolo mi spiega che quella é la parte più complicata perché, se per gli abiti la tecnologia gli viene in aiuto, con ricerca online e fornitori, per i vinili é più complicato. La maggior parte viene da collezioni private e l’acquisto spesso é frutto di un lavoro più elaborato. Paolo deve prendere appuntamento, visitare la collezione, valutare, e poi trattare dell’aspetto dell’acquisto. E a volte si tratta anche di fare dei viaggi abbastanza lunghi per contattare i collezionisti.
Riuscire a gestire tutto da solo, quindi, a volte può davvero essere complicato.
Ma la giornata di lavoro é quasi finita, almeno per quanto riguarda il negozio. E Paolo si prepara a chiudere.
Ma mi ritaglio il tempo di un’ultima domanda: “Perché Tropical Bairro?” Paolo mi spiega che il nome viene dal legame con la musica, i ritmi dei tropici che tanto fanno parte della sua cultura e della sua passione musicale. E voleva trasmetterlo anche nel nome del suo negozio. Allo stesso tempo ci voleva un legame con Lisbona e il suo Bairro (quartiere n.d.r.). E giocando un po’ con il portoghese e l’inglese nel titolo, ecco che é venuto fuori “Tropical Bairro”
19h: È davvero ora di chiudere. Il sole si é fatto meno intenso, un bambino pakistano gioca a pallone, qualcuno beve una birra sulle scale di São Cristovão, e la saracinesca del Tropical Bairro si abbassa.
Ma la nostra storia non é finita!
Come vi ho detto, c’é una passione che ha sempre accompagnato Paolo sin dall’adolescenza, ed é la musica. E si é sempre dedicato all’attività di DJ.
Gli chiedo come é nata questa sua passione e mi spiega che tutto ha avuto inizio con i film e le colonne sonore. Quando una musica cinematografica lo colpiva, andava alla ricerca della colonna sonora del film e da li alla canzone, poi l’artista e la sua musica. Una vera ricerca.
Ed é cosi che Paolo scopre la musica Reggae, quella americana degli anni ’50, e inizia a scoprire le influenze tra la musica giamaicana e quella di New Orleans. E poi quella latina, brasiliana e soprattutto africana, in particolare quella di Capo Verde e Angola.
Ed é stata proprio la musica che ha saldato l’incontro tra Paolo e il nostro Alex, che conosce bene la cultura e la musica capoverdiana, che ha lavorato in Angola. Ed é da li, dalla comune passione per questa musica, che un incontro casuale, si é trasformato, “um dia de cada vez” in una amicizia.
E quando la saracinesca del negozio si abbassa, si alza il sipario sul Paolo DJ, sulla sua abilità a mescolare sonorità di tanti paesi.
In fondo, mi confessa, una delle cose che lo aveva affascinato di Lisbona, era stata proprio la cultura musicale che veniva dalle ex-colonie portoghesi.
22:00: È ora di iniziare. I vinili sono pronti, Paolo ha preparato la sua selezione.
E eccolo li, con la sua originale cuffia a forma di cornetta telefonica, in perfetto stile vintage ovviamente, a far scivolare i vinili sui piatti. E la sua musica si diffonde.
“Cosa provi quando suoni? Ti perdi un po’ nel tuo mondo e nella tua musica?”, gli chiedo. E Paolo mi spiega che é proprio quello che cerca di non fare, isolarsi nella sua musica. Per lui é importante condividere, riuscire a trasmettere quelle stesse emozioni a chi lo sta ascoltando, osservare chi lo circonda per vedere anche la sua reazione rispetto alla musica di quel momento.
“Non é sempre facile” mi spiega. “Bisogna sapersi adattare al posto e all’occasione in cui ci si trova”.
In alcune occasioni la musica di Paolo fa da sottofondo in un lounge bar, altre volte anima feste e serate in cui il “must” é ballare.
Ed é nel suo ruolo di DJ che Paolo é probabilmente più a suo agio.
Quello che é certo, che sia quando si entra nel Tropical Bairro, sia quando il Tropical Bairro viene da voi attraverso la sua musica, non si può far a meno di lasciarsi trasportare da questo mondo affascinante su cui Paolo ha ancora molto da raccontare.
Un fado molto famoso recita: “una casa Portuguesa com certeza” (una casa portoghese, senza dubbio) e quando si entra da Zé dos Cornos si può pensare che questa frase sia stata pensata per loro.
Mettiamo una famiglia, aggiungiamo i piatti della tradizione portoghese, uniamoci una bella manciata di allegria, un pizzico di ironia, condiamo con l’accoglienza tipica della bella regione del Minho, ed ecco servito Zé dos Cornos, luogo di tradizione da quattro generazioni.
Per cercare di ricostruire la lunga storia di questa famiglia e del luogo, chiediamo aiuto a Marco. João Marco Ferreira per essere precisi. Ma per non confonderlo con suo padre, João Ferreira, per tutti é Marco, il più giovane di questa famiglia.
Marco, attraverso i ricordi legati anche alle conversazioni con la nonna, ci aiuta a ripercorrere la storia della famiglia Ferreira e di Zé dos cornos. Ma suo padre João non resiste, e di tanto in tanto lascia il bancone per unirsi al racconto di Marco e raccontare anche qualche suo dettaglio e ricordo, dando origine ad uno straordinario duetto padre-figlio che ci introduce subito nell’atmosfera di questo posto, un luogo in cui si respira aria di famiglia.
Ma cerchiamo di andare con ordine e, con un salto indietro nel tempo, cerchiamo di ripercorrere questa storia.
Originariamente questo posto non era un ristorante ma una carvoeria, cioé una carbonaia, un posto che vendeva carbone, olio, e tutto ciò che poteva essere usato per illuminare e riscaldare le case. All’epoca l’elettricità in città non c’era. Questo era un lavoro che a Lisbona normalmente facevano i galiziani, che, data la vicinanza geografica, lavoravano spesso in Portogallo. E questo posto apparteneva a Celia Cabo, ed era gestito da due sorelle galiziane.
Domingos João Ferreira, nonno di João e bisnonno di Marco, originario di Ponte de Lima nella bellissima regione del Minho, dopo il servizio militare decide di comprare questo posto e continuare dunque con la tradizione del carbone.
Il negozio serviva tutta la zona della Mouraria e non solo.
Come in una perfetta saga familiare, il negozio di famiglia passa al figlio José, per tutti Zé, che arriva qui a soli 13 anni e che, in seguito, comincia a gestirlo insieme a sua moglie Maria.
Ed ecco la prima evoluzione del posto: insieme alla carbonaia, Maria comincia a preparare in un piccolo spazio accanto, qualche piatto. Cose semplici, come si potevano trovare in questo tipo di posti. La famiglia viveva e lavorava qui.
La cucina, mi spiega Marco, si situava dove oggi c’é il piccolo bagno e, dove attualmente c’é la cucina, esisteva una sala con una grande tavola, e dietro questa sala, la casa della famiglia con un piccolo cortile. Una tipica casa portoghese.
Ed ecco che João interviene per raccontarci che da ragazzino doveva praticamente passare dall’ingresso del negozio per poi accedere alla casa.
La Carbonaia di Zé si trasforma, grazie ai piatti di Maria, nella Casa de pasto (una taverna) di Zé Ferreira. Ma la gente continuava a collegare Zé al suo lavoro di carbonaio, ed é ecco che per tutti diventa Zé Carvoeiro – Zé Carbonaio.
Ma come siamo arrivati allora al nome di Zé dos cornos? Chiedo a Marco.
E lui mi spiega che in realtà tutto comincia nel giorno in cui Zé, il cui ritratto troneggia nell’ingresso del ristorante, si presenta a casa con una coppia di corna, di quelle da appendere alle pareti come trofeo di caccia e che ancora oggi troneggiano sulla testa del suo ritratto. Da li, la gente cominciò a chiamarlo Zé dos cornos. Marco ci mostra anche un adesivo, tra i primi realizzati per il locale, dove in effetti si vede Zé con queste corna animali.
E allora scherzo con Marco, perché io conoscevo una versione diversa, cioè che questo soprannome veniva dalla fama di Don Giovanni che accompagnava suo nonno. E Marco e João scoppiano in una fragorosa risata. E mi dicono che il nome non viene da li, ma che questa non é esattamente una leggenda metropolitana perché un Don Giovanni il signor Zé lo era davvero.
João mi racconta che quando c’era una donna al ristorante, non si liberava cosi facilmente della compagnia di suo padre. E dice che é stato cosi sempre, fino alla fine. Purtroppo il signor Zé non può essere qui per smentire visto che ci ha lasciato nel 2013 dopo una malattia al fegato fulminante.
Ed oggi a tenere le redini del ristorante ci sono João e sua moglie Carmelinda, per tutti Minda. Altra generazione, la terza, altra storia.
Il locale nel frattempo non é cambiato moltissimo, anche perché il signor Zé, ci dice João, non amava le grandi trasformazioni, era molto conservatore, e convincerlo a modernizzare il posto non era semplice. Il bancone d’acciaio del ristorante é li per esempio da almeno 40 anni ed é stato già 32 anni fa che questa taverna ha assunto l’aspetto attuale, fatto salvo per qualche piccola rinnovazione.
La grande innovazione di questo posto é stata la grande brace che gli é stata donata e che ha permetto alla taverna di preparare le sue specialità: i piatti grigliati, carne e pesce cotti alla brace. Una vera delizia!
In cucina ci sono altri membri della famiglia, in particolare la sorella di Minda, Maria. Ed é stato proprio grazie a Maria, anche se in modo indiretto, che Minda e João si sono conosciuti.
E allora Marco ci spiega che sua madre Minda lavorava a Braga ed era arrivata a Lisbona per aiutare sua sorella Maria dopo il parto.
Maria abitava poco lontano dal ristorante e Minda passava quindi davanti alla porta della taverna. E quando João ha visto Minda… “Non mi ha più mollato!” Interviene Minda. “Certo non lo stavo aspettando, io avevo un altro fidanzato a Braga!” continua, tra le risate generali.
Minda é cosi, l’anima di questo luogo, una donna di grande spirito e simpatia.
E cosi alla fine Minda e João si sono sposati, 28 anni fa. E adesso vivono insieme, lavorano insieme… “Non ne posso più” dice lei ridendo. Ma il loro é davvero un bellissimo legame.
Anche Maria ci dice la sua, aggiungendo che rimanere sempre tutti insieme in famiglia non sempre é facile, a volte sul lavoro ci possono essere delle piccole tensioni, ma poi l’affetto vince sempre su tutto e si dimentica e si sistema sempre tutto molto in fretta.
E da qualche anno nella taverna lavora anche Marco, figlio di Minda e João, la quarta generazione di questa straordinaria famiglia.
Marco racconta che aveva iniziato a lavorare in un altro campo, ma che finito il suo corso di studi alla fine aveva deciso di unirsi alla famiglia.
Come ci dice, é un lavoro duro, a causa degli orari soprattutto, ma é il loro posto, la loro famiglia e quello che sanno fare meglio.
Questa taverna mantiene intatto lo spirito delle tipiche “tascas” portoghesi, con grandi tavolate e sgabelli di legno. E la tradizione di questo luogo é sempre stata quella di unire perfetti sconosciuti alla stessa tavola, un modo davvero impeccabile di ritrovarsi a pranzare in compagnia e fare nuove conoscenze.
Marco ci racconta che quando, per esempio, arrivavano persone della stessa nazionalità, le univa allo stesso tavolo per farle sentire più a loro agio. E ha, in questo modo, anche acceso la scintilla tra qualche persona. Ci dice, per esempio, che anni fa aveva fatto sedere allo stesso tavolo un italiano e una brasiliana che avevano finito per chiacchierare a lungo e la loro conoscenza era continuata molto oltre quel pranzo da Zé dos cornos. Alla fine si erano sposati e avrebbero addirittura voluto organizzare il pranzo di nozze li nella taverna, dove era nato il loro amore.
Tante sarebbero le storie da raccontare, ci dice Marco. Zé dos cornos resta un posto autentico nonostante la grande pubblicità che ha ricevuto in questi anni e che ha attirato molti turisti. Una pubblicità non cercata, ci dice Marco, ma capitata, con vecchi clienti che hanno consigliato il posto ad altri, giornalisti che si sono presentati alla porta della tasca, addirittura hanno parlato di loro alla TV olandese. E molti personaggi famosi sono passati e ancora passano di li. “Ma per noi, famoso o no, non fa differenza” dice Marco, perché chiunque arriva li viene accolto allo stesso modo.
Un posto sicuramente fuori dal comune, dove si incrociano turisti di passaggio e clienti abituali da molti anni, dove l’accoglienza regna sovrana e dove potete ancora gustare una tazza di vinho verde tinto. Una specialità del Minho che é rarissimo trovare fuori da quella regione, perché prodotto solo per clienti locali. Ma da brava famiglia del Minho, i Ferreira da Zé dos cornos ce l’hanno.
Una ragione in più per visitare questo posto e lasciarsi immergere in un’atmosfera familiare, divertente, rilassata mentre si degusta un piatto di carne o baccalà alla brace, sorseggiano un bicchiere di vino, “verde tinto” naturalmente.
Zé dos cornos si trova in Beco dos Surradores 5.
Nella Mouraria, il quartiere che fu concesso ai mori dopo la conquista cristiana, quello che é considerato uno dei luoghi più mistici e antichi di Lisbona, la culla del Fado, dove lo spirito di Maria Severa aleggia tra le stradine strette, si trova un posto che ormai fa parte dello spirito del luogo: la taverna “Os Amigos da Severa”.
In questo posto ormai leggendario, dove si racconta che la stessa Maria Severa (considerata la prima cantante di fado nel XIX secolo, n.d.r.) cantasse, ci accoglie il signor Antonio, che ormai per tutti é Antonio da Severa.
Antonio nasce nella Beira Alta, nel 1953, si trasferisce a Lisbona con la sua famiglia, che arriva nella capitale per ragioni di lavoro.
A quell’epoca Antonio aveva 10 anni. Lui stesso comincia a lavorare molto presto. Ci racconta di un lavoro per la compagnia dell’acqua, in cui distribuiva materialmente acqua alle persone. Un lavoro duro, ma darsi da fare era necessario.
Poi, di ritorno dal servizio militare la svolta: Antonio aveva poco più di vent’anni e decide di investire i suoi risparmi nell’acquisto di una taverna, un posto suo, in cui cominciare a costruire il suo futuro.
E cosi nel 1976, ormai 45 anni fa, diventa proprietario della taverna “Os Amigos da Severa”
Questo luogo é un posto incredibile, originale e in qualche modo fuori dal tempo (e dal mondo). Punto di riferimento del quartiere, in esso si uniscono tante tradizioni: la ginjinha, il fado, la Madonna di Fatima…
No, non mi sono confusa. Ho detto proprio la Madonna di Fatima
Perché quando si entra in questa taverna, tra bottiglie di vino e ginjinha, fotografie e antichi quadri, sul bancone si erge lei, Nostra Signora, a benedire il posto e chi vi entra.
Antonio ci racconta che si tratta di un regalo di un cliente, che risale già a molti anni addietro. Questa persona aveva proposto ad Antonio di offrirgli una statua della Madonna di Fatima per proteggere lui e questo posto, che per questo cliente, era un posto speciale. E Antonio aveva accettato, dando a questa statua un posto d’onore sul suo bancone. Da allora é diventato un piccolo santuario. Può sembrare irriverente, ma é un esempio interessante di come la devozione religiosa ufficiale e quella popolare si uniscano. Tra le mani della Madonna tantissimi rosari e Antonio ci spiega che molte persone passano da li a chiedere una grazia e, quando la loro preghiera viene esaudita, allora lasciano un rosario come ringraziamento tra le mani della Madonna. E anche Antonio, quando fa un brindisi, non si dimentica mai di dedicare una parola a Nostra Signora e invocare la sua benedizione.
Ma oltre a questo angolo di fede, in questo luogo mistico si trova davvero di tutto.
Alle pareti vecchie copertine di dischi, di fado naturalmente. Non manca Amalia e Fernando Mauricio, un mito per la gente del quartiere. D’altra parte lui stesso raccontava che da bambino si sedeva su un barile, proprio fuori a questa taverna, per ascoltare il fado. E ancora oggi qui il fado non manca mai. Quello “vadio”, vagabondo, quello più popolare e spontaneo. E quando non c’é chi canta, allora c’é radio Amalia, che trasmette fado ad ogni ora e che non manca mai nella taverna di Antonio.
Antonio mostra orgoglioso i quadri antichi alle pareti della sua taverna, quelli che rappresentano Maria Severa, ma anche l’immancabile Santo Antonio, al quale sono dedicate le feste di giugno tanto amate dal quartiere.
E poi ci sono le foto, tante foto, di anni diversi. Ma al centro c’é sempre lui: Antonio, lo spirito di questo luogo.
Basta seguire le foto lungo le pareti per ricostruire la storia di questo posto.
C’é Antonio più giovane, in compagnia di musicisti, che di solito animano le serate della taverna, ci sono foto più recenti e addirittura un fumetto che lo rappresenta.
Antonio non é il proprietario de “Os Amigos da Severa”, Antonio é “os amigos da Severa”. Chiunque passi da li, si affaccia anche solo un attimo per salutarlo, o per bere un bicchierino al volo, di preferenza insieme a lui, che é sempre disponibile a tenervi compagnia.
Da Antonio si entra per una birra fresca, o un bicchiere di vino senza troppe pretese, o una ginjinha, che a differenza degli altri bar qui é servita in una versione meno alcolica e fredda.
Antonio ne é molto orgoglioso. Ci mostra una frase attaccata al frigorifero dove si legge “Della Severa e di Antonio ricordo una cosa buona, c’é una ginjinha famosa che é la migliore di Lisbona”
E la ginjinha di Antonio famosa lo é davvero, visto che é anche citata in un libro di vini e liquori.
E se ci fossero ancora dubbi sul fatto che la vita di Antonio sia strettamente legata a questo luogo, lui continua a raccontarci di come ormai conosca ogni suo cliente. Ci sono quelli fissi ai quali non deve neppure domandare cosa vogliano, perché Antonio lo sa già. E anche con le persone di passaggio, riesce a capire cosa gli piacerebbe bere. Anni di esperienze, contatti col la gente. In fondo questo é quello che più gli piace. In questo posto Antonio ha unito la necessità di guadagnare al piacere di stare in mezzo agli altri, nel quartiere che più ama.
Da qualche anno Antonio vive nella Mouraria. Prima abitava nel quartiere di Benfica, ma lui abitante della Mouraria lo era da sempre. “La casa é quella che ci scegliamo, dove ci sentiamo bene” ci dice. E lui adora questo posto; non é un caso che ci accolga indossando con orgoglio la maglia del quartiere.
Ormai fa parte del “Bairro” (quartiere), una vera istituzione. Lo conosce, lo ha vissuto, lo ha visto cambiare, passare dal quartiere povero e malfamato, al quartiere riconosciuto finalmente come storico e autentico.
E la taverna di Antonio fa parte di questo luogo che i mori ci hanno lasciato. Era li, secondo la storia, già duecento anni fa. E da 45 anni la vita di questo posto si é intrecciata con quella di Antonio, che orgoglioso ci mostra i documenti dell’epoca, per attestare un legame tra lui e quel luogo che dura da molto.
Quando decidete di passeggiare per la Mouraria quindi, proprio accanto alla casa di Maria Severa Onofriana, che oggi ospita un’importante casa di fado (Maria da Mouraria), fermatevi a bere un bicchierino insieme al signor Antonio. Approfittatene per respirare un’aria di autenticità, senza lasciarvi impressionare dall’aspetto abbastanza originale del luogo, ma godendovi un’ atmosfera unica.
In fondo, alla taverna “Os amigos da severa” é come bere un bicchierino tra amici. E come dice il cartello che ci guarda dall’alto: “Bevi, senza paura, fino a bere un bicchiere di troppo, noi manterremo il segreto e ti porteremo a casa”.