Leggere in un articolo che nella città di New York nel 2021 sono stati raggiunti 10 Guiness World Records ci impressiona.
Ma se vi dicessimo che in Almada, nella piccola Cacilhas, ce ne sono ben tre?
E sono tutti concentrati nelle mani della stessa persona: Eduardo Diniz Henriques.
Ma andiamo con ordine e cominciamo a conoscere più da vicino Eduardo e la sua storia.
Nato a Coimbra, arriva a Lisbona da piccolino; e oggi ci racconta una storia degna di un libro.
Parte per la leva con l’aeronautica e arriva cosi in Mozambico. Il contatto con l’Africa lo segna per sempre.
Comincia a parlare di quelle terre, del suo popolo, degli anni di lavoro che a quelle terre sono legati e quello che ne viene fuori é un evidente amore per l’Africa e una nostalgia per quelle terre che ancora lo accompagna. Il suo rammarico, dice, é non essere rimasto li.
É in Mozambico che Eduardo decide di imbarcarsi e cominciare la sua vita per mare. All’inizio come “Controllore del carico” e più avanti come “Pilota di navigazione”. Nel frattempo studia nautica e diventa pilota (colui che aiuta il comandante in acque portuali nelle manovre di attracco o partenza) . Al lavoro sulle navi dedicherà circa quindici anni della sua vita.
Quando ci parla di quegli anni lo fa con entusiamo. In fondo viene da un popolo di navigatori. E questo Eduardo non lo dimentica. E porta questa eredità storica e culturale con orgoglio.
Alterna il suo racconto con quelli della storia portoghese, ricorda i luoghi in cui il popolo lusitano é attraccato tanti secoli fa e quando lui stesso ha potuto visitarli.
In qualche modo aver vissuto per mare, aver attraversato quei luoghi, gli ha permesso di capire le difficoltà che i suoi antenati avevano vissuto prima di lui.
E comincia a raccontarci di quando per lavoro, su una nave, la Induna (che, ci spiega, in lingua zulu vuol dire “colui che comanda”) effettuava viaggi della durata di tre giorni tra Durban e Città del Capo. Ci spiega che durante quei viaggi aveva compreso le difficoltà che i navigatori prima di lui avevano incontrato nel passaggio di Capo di Buona Speranza. Le correnti che si incontrano e si scontrano tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano creano tempeste terribili.
E lui, proprio come in un libro di avventure, quelle tempeste le ha attraversate, lavorando il quel periodo come secondo pilota.
Ci racconta quell’esperienza con tanti piccoli particolari, disegnando un percorso attraverso una linea immaginaria sul tavolo. E il suo sguardo si illumina quando ci parla di come sia sopravvissuto alla tempesta e alla visione di una enorme roccia che si ergeva dal mare. “Ho capito quello che i naviganti portoghesi provavano e perché pensavano che grandi mostri abitassero quelle acque” – ci dice.
Ed é da queste esperienze legate al mare e dalle sue tante avventure che viene la passione per il mondo nautico, e due attività che, ci dice, sono interconnesse: il collezionismo di oggetti d’arte nautica e la realizzazione di enormi quadri decorati con monete di tutto il mondo.
La prima passione nasce per una sorta di moto di orgoglio: negli anni 76/77 lavorava su una nave frigorifica in Olanda e si era ritrovato, in un porto olandese, alla presenza di vari oggetti nautici e parti di navi portoghesi. E allora si era detto che non era giusto che lui, portoghese, stesse a guardare mentre altri paesi compravano ed esponevano parti di storia del suo paese.
E da li aveva cominciato a comprare pezzi di navi antiche, alcune anche molto rare, e a collezionarle. Il suo sogno sarebbe poter comprare una villa a Malaga che ha visitato e che é ricca di oggetti nautici. Un vero tesoro. Oggi alcune le rivende, é diventato il suo lavoro. Ma i pochi clienti sono stranieri.
E sono stranieri anche quelli che di solito si interessano alla sua grande passione, quella che gli é valsa tre record mondiali: la realizzazione di quadri con monete di tutto il mondo.
La creazione di questi quadri, spesso di enormi dimensioni, prevede tutta una procedura abbastanza complicata. Una volta avuta l’idea del soggetto, legato alla tematica dell’espansione marittima portoghese, realizza il disegno su un foglio per poter creare le misure in scala. Poi sceglie le monete, perché devono essere adatte alle misure da raggiungere, e conta quante monete serviranno a realizzare il quadro.
A quel punto passa al disegno e alla pittura e, finalmente, alla paziente applicazione delle monete, cui viene applicato un pezzetto di nastro biadesivo. E alla fine, completa il tutto con una vernice trasparente.
Ovviamente tutto é preparato con cura, anche il colore da utilizzare come base del disegno, che deve mettere in risalto il colore delle monete, e le monete stesse, che sono a volte nuove (più chiare e brillanti), a volte più antiche ma lucidate e altre antiche e non lucidate, per creare diverse variazioni e intensità di colori.
La preparazione di un quadro, dipendendo dalle dimensioni, può durare intorno ai sei mesi.
Incredibile, per esempio, é il quadro Brasil con 17.630 monete, metà brasiliane e metà portoghesi
Ma come é nata questa idea? Perché questo tema e perché le monete?
Eduardo ci racconta che si dedicava da tempo alla collezione di monete e quindi ne aveva tante. Alcune acquistate, altre scambiate alle fiere di antiquariato con altri oggetti.
Aveva pensato di farne qualcosa e allora aveva legato l’idea delle monete all’idea della fortuna, e quale fortuna maggiore se non quella della grande storia marittima portoghese?
Eduardo non nasconde che dietro quest’idea c’é però anche tanta amarezza. Oggi quando si parla del Portogallo, si parla spesso di un piccolo paese povero. Sembra che quasi si faccia fatica a ricordare l’epoca gloriosa di questo paese. E Eduardo si dice molto deluso dell’atteggiamento dello stesso popolo portoghese che sembra spesso rassegnato a quest’ idea del proprio paese e che nulla fa per mostrare al mondo una realtà differente.
Eduardo é molto agguerrito e difende la sua libertà di espressione e ci tiene a sottolineare che il 25 aprile (1974, fine della dittatura n.d.r.) da un certo punto di vista é stato il 25 “della disgrazia” perché molte cose sono cambiate, il paese ha dimenticato la sua gloria e il suo passato.
Ed é proprio quella gloria che Eduardo vuole ritrovare attraverso le sue opere.
Il suo primo quadro non ce l’ha più: durante un’esposizione nell’università Lusofona é stato acquistato dal rettore. Rappresentava il mostro Adamastor, quello delle Lusiades di Luis Vaz de Camões, tutto realizzato con monete portoghesi.
Ma sono altri tre i quadri che gli sono valsi i titoli di Guiness World Records, nell’ordine:
- Il quadro Bandeira (Bandiera) realizzato con 19.045 monete
Al centro, la mappa di Portogallo. In basso le parole LUSITANIA, PORTOGALLO, PATRIA, FEDE IN DIO. Sul fondo la bandiera portoghese.
- Impero portoghese, con 37.121 monete e cinque metri di lunghezza realizzato con monete provenienti da tutte le ex colonie portoghesi
- Il quadro Europa, 8 metri e 40 e 183 cm di altezza, 67.567 monete di diverso valore e metallo.
Ora quadri cosi grandi non ne realizza più, perché richiedono un grande investimento finanziario. Allora realizza quadri più piccoli, con l’inserimento di alcune monete.
É rimasto il progetto di un’ultima opera che non é riuscito a realizzare e di cui ci mostra i disegni: un quadro di 20 metri di lunghezza in cui andava rappresentato il Brasile e il Castello di São Jorge e per cui sarebbero necessarie 150.000 monete.
Il sogno di Eduardo sarebbe stato poter esporre queste opere, tra cui i suoi quadri, ma anche presepi, oggetti nautici e orologi realizzati con le monete, in uno spazio museale.
Eduardo é combattivo e le ha davvero provate tutte: ha scritto ai giornali, al presidente della Banca Europea e di quella portoghese, a tutte le istituzioni legate alla cultura, ma per il momento il suo desiderio di esporre le sue opere ancora non si é realizzato.
Qualche straniero gli fa visita di tanto in tanto, una giornalista canadese gli ha anche dedicato un articolo. Ma le sue opere continuano, per il momento, ancora ammassate nel suo atelier.
Oggi, a 76 anni, ci dice che già non si aspetta di realizzare questo suo sogno, ma lo dice con un evidente rammarico e tristezza.
Mostra con orgoglio anche una lettera di José Hermano Saraiva, cui aveva mandato un piccolo libro, in cui il divulgatore storico promette di custodire questo libro in biblioteca, e un’altra lettera addirittura del papa Giovanni Paolo II che lo ringrazia del libro che gli aveva donato. Anche Papa Francesco gli ha scritto, ci dice.
Ci lasciamo con un’ultima domanda: il suo sogno.
E Eduardo ci da forse la sola risposta che un uomo dalle mille avventure come lui poteva darci: “Vincere alla lotteria per poter costruire un museo in cui lasciare le mie opere a tutti coloro che vorranno vederle e poi comprare una piccola barca e fare il giro del mondo”.
Ci riuscirà? Possiamo solo immaginare quali altre avventure avrà poi da raccontarci.
Se volete visitare l’atelier di Eduardo a Cacilhas, é in Rua Elias Garcia, n.34
Se vi trovate a Lisbona nel mese di Giugno, durante le feste di Sant’Antonio, vi imbatterete probabilmente in un trono. Non quello di un re, ma quello del Santo. Una tradizione antica che ormai si mantiene a fatica, almeno nella sua forma più tradizionale.
Il trono é una specie di scalinata dove sulla cima c’é la statua di Sant’Antonio e sulle scale altri santi, o coppie di sposi (Sant’Antonio é un santo casamenteiro, bisogna pregarlo quando si é in cerca di marito/moglie). E il trono di Sant’Antonio si costruisce per la festa del Santo e poi si distrugge alla fine di giugno con la conclusione della festa.
Ma ad Alfama ci sono dei troni che non vengono smontati, che restano esposti tutto l’anno, e sono quelli di João.
Nel piccolo giardino della sua casa, dove vive dal ´98, si uniscono varie decorazioni, tutte diverse, che sono espressione di un mondo tutto da scoprire e di momenti che fanno parte della vita di João e della sua storia, che accetta di raccontarci.
La prima domanda, inevitabile, é da dove venga questa passione cosi forte per la costruzione dei troni. Sicuramente dalla voglia di mettere in pratica un talento innato per il bricolage, ma soprattutto dall’amore per le tradizioni e per la festa di Sant’Antonio.
La sua passione, ci racconta, comincia già da bambino, quando con 7/8 anni faceva compagnia alla zia che costruiva un trono per il Santo vicino al suo negozio.
E João aveva il diritto di stare insieme a lei, orgoglioso affianco al trono, vestito elegantemente per rendere onore al Santo e alla festa. E poteva anche andare in giro a chiedere “una moneta per Sant’Antonio.
Questa tradizione iniziò nel secolo XVIII quando, dopo il terribile terremoto del 1755, si raccoglievano soldi per ricostruire la chiesa del santo. Nei tempi moderni, ci racconta João, queste monete servivano a comprare caramelle, biscotti o altri dolcetti.
Ed é alla sua infanzia che é legato il suo primo ricordo di trono. E questa passione da allora non si é più fermata. Ha iniziato a costruirli per la festa, poi per i suoi figli (che a volte facevano finta che fossero stati loro a costruirlo) e poi ha continuato per passione.
Pur non avendo fatto per lavoro nulla che avesse a che fare con arte e manualità, João sembra non aver fatto altro nella sua vita.
Impiega circa trenta minuti a montare un trono, ci spiega, ma quello che importa e richiede lavoro é la preparazione della struttura, degli elementi che lo compongono.
I suoi troni sono diventati cosi celebri che qualche giorno fa é stato invitato ad una trasmissione domenicale sul canale Sic. E ovviamente ne é molto orgoglioso. Ha potuto mostrare in diretta come realizza queste sue piccole opere d’arte. E l’agenda culturale di Lisbona gli ha dedicato una pagina del suo articolo sui troni. “Una piccola celebrità” – gli diciamo.
João é orgoglioso di presentarci le sue opere: c’é il trono più classico col santo, quello più decorato, c’é quello spettacolare dedicato ad Amalia, lo scorso anno, nel centenario della sua nascita. Un trono in cui l’opera di Vhils “Calçada” che rappresenta il volto di Amalia realizzato sulla calcada portoghese (e che potete ammirare nel largo de Sao Tomé ndr) diventano la base di un trono dove il tipico pavimento portoghese la fa da padrone e dove trovano posto un lampione, e in cima una chitarra portoghese, quella del Fado. E naturalmente Sant’Antonio sul gradino più alto.
Con la pandemia le feste popolari sono state sospese e allora João ha sentito ancora più forte il desiderio di portare avanti comunque questa tradizione.
“Tutto nasce non un’idea e poi comincio a creare”, ci racconta Joao. Questa passione per l’arte l’ha ereditata sua figlia, una dei suoi cinque figli. Due hanno abbandonato il Portogallo, uno per l’Inghilterra e l’altro per la Spagna.
Anche i suoi figli sono legati alle tradizioni, hanno anche partecipato alle marce popolari (che si tengono ogni anno il 12 giugno sull’Avenida da Liberdade ndr) ma per quartieri diversi.
Mi stupisco. “Come, non per Alfama?”.
E João ci spiega che a volte Alfa ma non coccola i suoi “figli” come dovrebbe. Che i tempi in cui questo quartiere era una grande famiglia, senza invidie né gelosie, sembra essere un ricordo lontano. La memoria di un quartiere allegro, animato dai bambini che oggi sono sempre meno. E cosi anche una tradizione come il trono, che viene creato soprattutto per i più piccoli della famiglia, comincia a perdersi. O si trasforma in un oggetto commerciale, ci spiega João, nelle vetrine dei negozi, per promuovere i prodotti in vendita.
Ma il trono é un’altra cosa ed é quello che Joao cerca di promuovere e custodire. E tante persone del quartiere gli hanno chiesto di conservare queste sue opere e il suo piccolo giardino sembra ora quasi un museo, dove i suoi troni sono in mostra tutto l’anno.
Ma i troni non sono l’unica opera che João realizza.
“Il mondo dell’arte e dello spettacolo mi affascina” ci confessa. E ci mostra un vaso alla finestra, realizzato con una gamba finta con tanto di giarrettiera (cucita da lui ovviamente).
Ci racconta di come volesse realizzare qualcosa con questo pezzo di manichino e allora aveva pensato al Moulin Rouge e alle ballerine di Can Can e aveva deciso di trasformare quella gamba in qualcosa di originale, inusuale, il suo personale omaggio al mondo dello spettacolo.
Ma c’é ancora qualcosa che attira la nostra attenzione nel suo piccolo giardino: una statua, forse Sant’Antonio, forse no. Di sicuro un francescano, col capo coperto.
Ma quello che più ci colpisce é la storia.
João ci racconta che questa statua l’aveva trovata vicino ai rifiuti, rotta di lato, rovinata, e aveva voluto recuperarla, ma non aveva potuto. L’aveva poi ritrovata nel miradouro li vicino e aveva quindi pensato che la statua avesse ormai una nuova collocazione.
Giorni dopo la statua era di nuovo li, abbandonata nella spazzatura. Allora João non aveva esitato, l’aveva recuperata, riparata, ridipinta e datole il posto d’onore nel suo piccolo giardino.
E allora ci confessa, che in realtà quella statua gli aveva ricordato una persona, un monaco eremita, vestito di bianco, che aveva rappresentato per lui un padre, che era stato per lui una guida (uno dei suoi figli porta il suo nome) e che era morto nello stesso anno di Amalia (1999) lasciando nella sua vita un grande vuoto. E quando quella statua era apparsa, per lui era stato come un segno che non poteva ignorare; doveva portarla a casa
Prima di lasciarci, João ci dice che la sua arte si estende anche ai presepi, che però non espone perché non vuole che qualcuno possa danneggiarli come é successo con qualche trono.
E allora promette che ce li mostrerà, un giorno.
Nel frattempo ci tocca “accontentarci” del suo piccolo museo all’aria aperta che, con orgoglio, custodisce una delle tradizioni popolari più antiche di Lisbona
Quando si scende nelle vie di Alfama, prendendo la lunga scala che parte dal Largo das Portas do Sol, quella in cui i resti dell’antica muraglia ci riportano ad un tempo lontano, nel portico di una casa ci accoglie lei, Dora, una classica mamma portoghese.
Una mamma di quelle affettuose, che non si dimentica di dare un bacio o una carezza ai suoi figli.
E le guide di Lisbona, non possono non conoscerla, perché quando si passa per Alfama, il suo sguardo gentile e il suo saluto pieno di allegria é immancabile.
Ed é cosi che l’ho conosciuta, perché passando per quella strada ero sempre colpita dal suo sorriso e dalla sua gentilezza. E quando per qualche giorno non mi ha visto passare, ha chiesto a chiunque mi conoscesse mie notizie. E da allora, mi ha adottata, da allora sono “a sua filha” e quando c’é bisogno di un abbraccio di mamma, quello di Dora non manca mai.
Dora vende la ginjinha per strada, il liquore tradizionale di visciole, arricchito di zucchero, cannella e “aguardente”, quello che, secondo la tradizione, era venduto già nel secolo XIX come rimedio per il mal di gola.
A Lisbona é una tradizione, un bicchierino di ginjinha non può mancare. E chi viene a Lisbona da turista la ginjinha la deve provare e di solito lo fa in uno dei bar della città.
Ma Dora la ginjinha la vende per strada, come anticamente. La municipalità di Lisbona lo permette, nell’antico quartiere di Alfama, in cambio di una tassa mensile.
E prima di questa pandemia, durante le feste popolari di giugno, Dora preparava anche il tradizionale “arroz doce” con la sua ricetta speciale (Delizioso!)
Dora é una donna di Alfama, é il suo quartiere e ne va fiera. É qui che é nata, nella casa dei nonni, a poche strade di distanza da dove vive ora. É qui che ha sempre vissuto, in quella stessa strada in cui era nata, in una casa vicina.
É ad Alfama che Dora ha incontrato il suo João. Un amore nato quando lei aveva 13 anni e lui 18, coronato dal matrimonio tre anni dopo. Un grande amore impreziosito da tre figli. Un amore che non si dimentica. E la commozione comincia a farsi sentire, perché João, il suo João, ci ha lasciato pochi mesi fa. Un vuoto, quello che ha lasciato nella vita di Dora, che non si può colmare.
Ma lei non vuole rattristarci e rattristarsi e cosi cambia argomento.
Parla della sua famiglia, i figli che ama, il suo nipotino, Dinis, nato tre anni fa. Ed ecco che gli occhi di Dora tornano a brillare, ecco che la nonna orgogliosa non resiste a mostrarci le ultime foto dell”amore della sua vita”.
E allora le chiedo perché questa scelta, perché vendere la ginjinha per strada.
E Dora ci racconta che aveva sempre lavorato, nei ristoranti soprattutto, ma la frattura di una gamba nel 1995 l’aveva costretta a delle protesi per quattro anni e poi ad un dolore che non le aveva più permesso di continuare con il lavoro precedente.
E allora comincia a perdersi nel racconto del passato, ci parla dei primi tempi dopo il matrimonio, della casa in cui avevano vissuto, quella dei suoceri, sempre ad Alfama naturalmente, e che avevano dovuto abbandonare anni fa, in seguito alle nuove leggi che in Portogallo, avevano permesso tanti sfratti. Dora e la sua famiglia avevano perso cosi la loro casa, quella in cui stavano costruendo il loro futuro, e si erano trasferiti in quella in cui Dora vive oggi.
“Era la casa della mia bisnonna” ci racconta, poi della mamma ed infine sua.
E Dora spesso é li, alla finestra del primo piano, e basta chiamarla perché scenda a versarci un bicchierino di ginjinha.
Il racconto di Dora continua ad andare indietro nel tempo, e il ritratto che ne viene fuori é quello di una donna instancabile ed anche avventurosa. Incinta del suo secondo figlio, e già avanti con la sua gravidanza, viaggiava tra Spagna e Portogallo per lavorare. E un giorno, all’ottavo mese di gravidanza, il suo secondogenito quasi nasceva in viaggio.
Instancabile, anche con il suo pancione, perché bisognava lavorare, per la sua famiglia.
Il lavoro non l’ha mai spaventata.
E tre anni fa, una nuova idea, una nuova sfida. Un giorno suo figlio era tornato a casa e le aveva detto “Mamma, conosco una signora che prepara la ginjinha in casa. Perché non la vendi?”
Dora aveva deciso di accettare la proposta del figlio, aveva bisogno di lavorare, ci racconta. Ma si vergognava.
E il primo giorno si era concluso senza nessun cliente. Voleva desistere. Era la ragione perfetta per farlo, la scusa che le serviva con suo figlio. Ma non lo aveva fatto. Ci aveva riprovato.
Ed oggi continua, non solo per guadagnare qualcosa ma soprattutto “perché a casa da sola non vuole starci”
Non ha orari fissi; se non c’é, ci dice, basta chiamarla.
Lei si posiziona li, sotto la porta della sua casa, intorno alle 11 e poi di nuovo qualche ora nel pomeriggio. Dipende dal tempo, dipende dal passaggio di persone.
Ma per Dora, questo lavoro nasconde un pregio molto più importante dei soldi: la gente. Il passaggio delle persone per le vie di Alfama, lo scambiare con lei un sorriso, augurarle il buongiorno, la fanno sentire bene, non le danno il tempo di farla sentire sola.
E Dora ha bisogno di circondarsi di persone, lei che é cosi solare, socievole, sorridente. Basta poco. A volte il suo grido affettuoso “Filha!” mi raggiunge da lontano nella stradina di Alfama, e basta anche solo mandarle un bacio da lontano o urlarle un “come stai?” per vedere i suoi occhi sorridere.
La pandemia é stata un duro colpo per Dora, e non solo perché i turisti sono spariti e con loro gran parte del suo lavoro, ma perché per le strade di Alfama per tanti mesi sono passate sempre meno persone. E quel viavai che tanto riempie il cuore di Dora di gioia, in questo momento non c’é più.
E allora aspetta con ansia che questo periodo finisca, che si torni a ridere per le strade e ad abbracciarsi senza paura, che si torni a farsi compagnia, chiacchierando e bevendo una ginjinha.
Ecco chi é Dora. Infreddolita e coperta da più maglioni in inverno, con le classiche scamiciate d’estate, ma sempre lei, e sempre li, sotto la porta di casa, con la sua bottiglia di ginjinha fatta in casa
Un euro per la ginjinha di Dora – dice il cartello appeso vicino al banchetto – un euro per un bicchierino di liquore, ma soprattutto per un sorriso, per il suo affetto e la sua incredibile umanità.
Quante volte, passeggiando per i vicoli di Lisbona, hai incrociato uno sguardo, un sorriso, quello di qualcuno che incontri ogni giorno, ma che in fondo non conosci.
E magari ti sei chiesto tante volte quale storia custodiscano queste persone che fanno parte, senza saperlo, del tuo quotidiano.
É per questo che nasce il nostro progetto #Um dia de cada vez, in cui vi racconteremo Lisbona, ma non concentrandoci sulla città. Lo faremo parlandovi della sua gente.
Sei pronto a scoprire chi si nasconde dietro coloro che incontriamo all’angolo di una strada, seduto ad un caffè o affacciato ad una finestra?
Siamo Alex e Rossana, due italiani adottatati dal Portogallo e innamorati di questo paese, che abbiamo scelto come la nostra nuova terra. E da oggi, quella che cercheremo di raccontarvi attraverso storie e immagini, sarà la gente che abbiamo incontrato e che continuiamo ad incontrare, che giorno dopo giorno, Um dia de cada vez, é diventata parte della nostra vita.
Um dia de cada vez, un’espressione tipicamente portoghese che significa “un giorno alla volta” e che nasconde anche un’idea di speranza, di pazienza.
E questo è il senso del nostro progetto: aprire le porte delle case, affacciarci con loro alla finestra, sedersi con loro a bere un caffè…e raccontarvi la loro storia. Quella delle persone che, giorno per giorno, sono entrate a far parte della nostra vita. Gente comune, artisti, musicisti, venditori…
Um dia de cada vez, cominceremo a conoscerli e, quando incroceremo il loro sguardo, sapremo la storia che i loro occhi nascondono.
Inizia con noi questo viaggio, vieni a scoprire la gente di Lisbona, attraverso le parole di Rossana e le immagini di Alex.
E in questo viaggio non saremo soli: se anche tu hai qualcuno che, Um dia de cada vez, ha iniziato a far parte del tuo quotidiano e vuoi conoscere qualcosa in più su di lui, segnalacelo.
Partiremo subito alla scoperta della sua storia.
CHI SIAMO
Alex Paganelli è un pubblicitario e fotografo autodidatta.
Ha studiato Sociologia e Comunicazione all’università di Urbino e iniziato la sua carriera lavorando come designer grafico a Roma, la città in cui è nato.
É arrivato a Lisbona nel 2008 per amore e la luce e le strade della capitale portoghese hanno da subito conquistato il suo cuore. Lavora come creativo in un’agenzia di pubblicità e sviluppa progetti personali di fotografia.
Il suo lavoro è apparso in molte pubblicazioni online nazionali e internazionali tra cui Expresso (Portogallo), Viajes National Geographic (Spagna), Marie Claire (Spagna), Forbes (Repubblica Ceca), Harper’s Bazaar Arabia (Dubai), CNN Greece e Remix Magazine (Nuova Zelanda).
Rossana Crisci, napoletana DOC, è archeologa, e ha studiato Storia dell’Arte e Museologia all’ Ecole du Louvre di Parigi. Autrice di due libri, dopo molti anni trascorsi a Vienna, dove ha lavorato come guida alla Hofburg – appartamenti imperiali, è arrivata a Lisbona ed è stato amore a prima vista. Ogni angolo nascosto di questa città, le labirintiche stradine del centro, il suono del Fado tra i vicoli nascosti, l’odore delle sardine grigliate d’estate, tutto questo ha rapito il suo cuore. E alla fine non é più andata via.
Oggi il suo lavoro é far innamorare gli altri di questo paese, guidandoli tra le strade più rappresentative e gli angoli più nascosti della città e facendo quello che più ama fare: raccontare storie.